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PIERO E LUCILLE, AMORE, AMORE, AMORE!


Una testimone della carità e dell’amore dei nostri tempi, degna rappresentante di migliaia di volontari e professionisti laici che danno le loro migliori energie giovanili o mature, per sollevare tanti popoli del Terzo Mondo povero. Ecco la splendida figura della dott.ssa canadese Lucille Teasdale, che nacque il 30 gennaio 1929 a Montreal (Canada). Conobbe durante una loro visita al collegio, delle suore missionarie in Cina, i cui racconti l’affascinarono e nel contempo fu stimolata nei suoi progetti per il futuro: “Voglio diventare medico e andrò in Cina a curare bambine”. Studiò medicina all’Università di Montreal, facendo coppia fissa con un altro studente François Laroche; entrambi ventitreenni, passavano il tempo libero facendo volontariato in un ambulatorio cattolico di Saint-Hubert, avendo davanti agli occhi il generoso Albert Schweitzer, organista famoso che aveva lasciato tutto per andare a curare i lebbrosi nelle foreste del Gabon. Lucille non usava trucco, ma era considerata una delle più belle universitarie, anche François Laroche se ne innamorò, ma lei aveva una gran paura, i suoi periodi di grande tristezza e di totale insicurezza le facevano prospettare, come per sua madre, una incurabile depressione. E a François rispose: “Ti ringrazio del tuo affetto. Ma credo che mi sarà impossibile essere allo stesso tempo sposa, madre e medico missionario. Sarò medico e basta”. Il giovane comprese e la lasciò libera, in una lettera le scrisse: “I deboli pensano a quello di cui avrebbero bisogno per agire e per vivere. I forti pensano ad agire e a vivere con quello che hanno”. Lucille Teasdale si laureò nel 1955 e venne eletta dagli studenti della Facoltà “Miss Medicina”, per la sua radiosa e serena bellezza; le ferie le trascorse in una colonia estiva con centinaia di bambini disabili. Qui conobbe un medico italiano proveniente dalla Brianza, Pietro Corti, venuto al “Sainte Justine” per specializzarsi in radiologia e anestesia; era un giovane cristiano tutto d’un pezzo, con idee missionarie ben radicate per il suo futuro. Divennero subito amici, il suo forte carattere e la decisionalità e sicurezza, infondevano in Lucille tanta fiducia, lei così paurosa e incerta; si confidarono reciprocamente, lei parlò della malattia della madre, della fede che aveva perduta e Piero parlò di una ragazza oggi venerabile, Benedetta Bianchi-Porro (1936-1964), di cui si era innamorato a Milano e con la quale aveva condiviso l’ideale missionario, ma una mortale e devastante malattia la distrusse in poco tempo, a lei aveva promesso prima che morisse, di costruire un ospedale per gli ultimi, i più poveri. Per questo aveva avuto contatti con i padri Comboniani che avevano alcuni dispensari nel nord dell’Uganda, allora protettorato inglese, vicino alla città di Gulu. Si trattavano fraternamente, ma man mano si innamorarono a vicenda, il primo ad ammetterlo fu Piero, Lucille non volle subito riconoscerlo, sempre per la sua mancanza di coraggio nel concludere. Pietro Corti avendo terminato gli studi ritornò a Milano, mentre Lucille doveva fare l’ultimo anno di specializzazione, le fu proposto dal rettore di trascorrerlo negli Stati Uniti; ma al momento della partenza, lei si accorse di quanto le mancava Piero e allora lasciò tutto e andò a Milano, dove il dottor Corti, in procinto di partire per l’Uganda, le chiese di seguirlo; sarebbe stata il chirurgo mentre lui l’avrebbe assistita come anestesista, Lucille alla fine disse sì, il primo di tanti. Il 1° maggio atterrarono ad Entebbe la capitale dell’Uganda e su una robusta auto raggiunsero il nord, fermandosi a Lacor un villaggio a 11 km da Gulu, dove esisteva un dispensario dei Comboniani; furono accolti da festanti cinque suore italiane, la superiora suor Anna Pia De Marchi accompagnò Lucille alla residenza delle suore, dove era stata preparata una camera per lei. Già il giorno dopo fu chiamata per intervenire in un parto difficile, così il suo primo intervento sia come chirurgo, sia in terra africana, fu un taglio cesareo, eseguito prima con trepidazione poi man mano con maggiore sicurezza. Lucille e Pietro si sposarono dopo qualche mese il 5 dicembre del 1961, nella Cappella dell’ospedale; il suo viaggio di nozze fu il suo giro tra i malati in corsia. Il suo operato di medico e chirurgo fu intenso, c’era tanta mortalità infantile in giro, in effetti le classiche malattie dei bambini venivano a complicarsi quasi sempre con una diarrea fatale, Lucille scoprì che le loro madri davano da bere loro acqua inquinata perché non sapevano distinguerla da quella potabile. Piero organizzò con urgenza dei corsi informativi nei villaggi con l’aiuto di infermieri locali. Altro grave problema era un’infezione spesso mortale, chiamata dagli indigeni “ebino”, che colpiva la gengiva inferiore dei bimbi; Lucille scoprì che l’ignoranza era la causa di tutto, quando cominciavano a spuntare i canini, veniva un gonfiore alle gengive con un po’ di febbre; il bimbo veniva portato dallo stregone che con un chiodo o una punta di freccia, praticava un’incisione nella gengiva ed estraeva i piccoli canini. Ne conseguiva molte volte un’infezione con febbre altissima e setticemia; quando la mamma si decideva a portarlo in ospedale era quasi sempre troppo tardi; Lucille non si dava pace per queste morti e iniziò anche questa volta una capillare informazione, mettendosi ovviamente contro gli stregoni (ajwaka). Un anno dopo il loro arrivo in Uganda, l’ex protettorato inglese raggiunse l’indipendenza il 9 ottobre 1962; scontri fra gli eserciti ugandesi e quelli della confinante Tanzania, imperversare di guerriglieri che lasciavano al loro passaggio una scia di morti e feriti. Il loro ospedale si trovò al centro degli scontri e delle vie di fuga, per cui fu razziato varie volte, mentre le infermiere delle diverse etnie scapparono, anche Piero e Lucille pensarono di chiudere l’ospedale, come già successo per altri della zona, ma poi trovarono sempre la forza per ricominciare. Intanto il 17 novembre 1962 era nata la loro figlia Dominique, che fu la gioia di entrambi, stette con loro i primi anni, poi per salvaguardarla dalle ricorrenti guerre e guerriglie, che sconvolsero l’Uganda fino a tutti gli anni Ottanta e poi per farla studiare in qualche buona scuola in Italia; fu ospitata a Besana dagli zii Piero e Galeazzo, che avevano numerosi figli. Ma la lontananza era dura per tutti, per cui nel 1971 quando Dominique aveva nove anni, fu trasferita in Kenya nella famiglia dello zio Fortunato Fasana, che era docente di Medicina all’Università Statale. L’opera del dottor Corti proseguì alacremente nonostante tutte le difficoltà, acquistandosi la simpatie della popolazione ugandese. Negli anni ’60 l’ospedale fu allargato e modernizzato, costruiti nuovi reparti con due sale operatorie, nuovi medici arrivarono da Entebbe e dall’Italia; fu aperta una scuola per infermieri diplomati e fondati due Centri sanitari periferici. Nel 1982 Piero ebbe un leggero infarto al miocardio e durante la convalescenza, arrivò per un colloquio un giovane medico di colore, Matthew Lukuwya, accolto dalle feste delle suore, perché era nato nel 1958 all’ospedale di Kitgun dove la superiora aveva fatto la levatrice. Nonostante la guerra era riuscito a laurearsi nell’Università di Makerere e mancando di ogni esperienza clinica, era venuto dai coniugi Corti per essere preso nel loro ospedale. I due medici furono ben lieti di assumerlo e fu un’ottima decisione, Matthew si specializzò poi nella diagnosi e cura dei tumori infantili e dopo un soggiorno in Italia, divenne un esperto di AIDS, malattia epidemica che si diffondeva velocemente in Uganda. Diventò per loro il migliore collaboratore e quando nel 1991 Piero si rivolse al vescovo di Gulu, per prospettare la necessità per loro due di un periodo di riposo, propose al vescovo il dottor Matthew come sostituto, quale migliore medico dell’ospedale, nonostante che non fosse cattolico ma anglicano. La loro benemerita opera in Uganda, con un ospedale funzionante a pieno ritmo, capace di 465 posti letto e con quasi 500 dipendenti ugandesi, fece sì che Lucille venisse nominata membro onorario del Collegio reale dei medici e chirurghi del Canada.

Il 25 aprile 1979 mentre in sala operatoria Lucille cercava di amputare una gamba maciullata ad un soldato ferito, la raggiunse in faccia uno spruzzo di sangue nerastro; il paziente morì qualche giorno dopo per il sarcoma di Kaposi, maggiore conseguenza di un’infezione da HIV (AIDS); probabilmente fu in quell’occasione che l’eroico chirurgo Teasdale contrasse la mortale malattia. Nel 1982 a 20 anni Dominique tornò in Uganda dai genitori, si accorse subito che nella mamma qualcosa non andava, faceva fatica a nutrirsi e aveva perso troppo peso per i suoi 53 anni; la persuase a fare un viaggio in Europa e farsi visitare accuratamente da uno specialista. Pietro e Lucille parteciparono il 26 settembre 1983 all’udienza di papa Giovanni Paolo II, riservata ai “medici missionari” impegnati in Africa accanto ai padri e alle suore; poi fecero tappa a Londra dall’immunologo di fama internazionale Anthony Pinching per consulto ed esami. Il responso fu che Lucille era sieropositiva e Piero no, l’illustre clinico le diede due anni di vita, del resto della malattia allora si sapeva ben poco; poteva ancora lavorare in ospedale ma doveva usare cautela, specie nel contatto con i tubercolotici. Non visse due anni, ma lavorando ancora altri tredici anni, pur limitando man mano l’attività chirurgica. Piero ne era sconvolto e angosciato, tanto più che Lucille, in questa dolorosa prova era semplicemente magnifica; dopo lunga sofferenza, morì a Besana Brianza, dove si era trasferita negli ultimi tempi, il 1° agosto 1996 a 67 anni. Con il suo esempio di dedizione fino all’ultimo, la vita dell’ospedale di Lacor continuò sia pur con animo afflitto. Per Piero ormai settantaquattrenne, le prove continuarono, nel 1999 un’altra grave epidemia, la micidiale Ebola, si abbatté sull’Uganda, il direttore sanitario Matthew Lukuwya di 41 anni, nel soccorrere un ammalato ne contrasse il virus e dopo qualche giorno morì. Pietro rimase solo a lottare per il buon funzionamento del “St. Mary’s Hospital” di Lacor, che oggi accoglie oltre 100.000 ammalati ogni anno e che fu scelto dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) come centro pilota per la lotta all’AIDS in Africa. Ebbe diversi bypass al cuore, un tumore al pancreas che lo porterà alla morte, ma il testardo fondatore dell’ospedale lottò fino alla fine, quando a Milano nell’ospedale di S. Giuseppe, concluse la sua esistenza terrena il 20 aprile 2003, la sera del giorno di Pasqua; aveva 78 anni di cui 42 di carità attiva trascorsi in Africa tropicale.

Ad una giornalista che le chiedeva: “Fino a quando pensa di restare in Uganda?”, Lucille aveva risposto: “Piero non può vivere senza l’ospedale; io non posso vivere senza Piero. Tiri le sue conclusioni”. www.lacorhospital.org www.fondazioneplcorti.it

Autore: Antonio Borrelli

DAI RICORDI DI Dominique Corti:

Di lei colpiva la determinazione, la fermezza, la precisione. “Aveva una formazione molto anglosassone”, ricorda Dominique Corti, “le linee guida erano il suo pane: rigore, ma tanto studio. La ricordo ancora sui libri di chirurgia prima di operazioni più complicate. In fondo aveva studiato come chirurgo pediatrico e si è ritrovata a essere, agli inizi o in tempo di guerra, unico chirurgo specialista di gran parte del Nord Uganda. Un chirurgo, anzi una chirurga, andrebbe detto con orgoglio. Che ha fortemente lottato per diventarlo contro i pregiudizi di coloro che, negli anni ’60, osteggiavano una chirurgia al femminile. “Mamma mi raccontava che, mentre si stava iscrivendo a chirurgia pediatrica, in molti le avevano detto che nessuno avrebbe fatto operare il proprio figlio da una donna”.

E questa donna minuta, che aveva sempre una caramella in tasca per i bambini e un’attenzione per gli anziani, ha messo per tutta la sua vita il paziente al centro. Una filosofia che oggi riempie trattati e che lei incarnava già cinquant’anni fa. A tutte le persone che oggi costituiscono l’ospedale Lacor e alla Fondazione nata per sostenerlo, spetta il compito di alimentare questa fiamma.

A quasi novant’anni dalla sua nascita, la sfida è che il messaggio di Lucille riesca ancora a vivere. La dedizione verso i più vulnerabili rimane il motivo dell’esistenza di questo luogo di cure che ogni anno attrae e accoglie centinaia di migliaia di persone. Riflette Dominique: “in un ospedale più che raddoppiato in termini di dimensioni, personale e pazienti e in un contesto profondamente mutato, non è semplice mantenere vivo lo spirito che animava i miei genitori. E’ proprio questa la sfida al centro del nuovo Piano Strategico che si sforza di trovare nuove strade”.

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